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La mano nel cappello - storie di ex ultimi della classe

La mano nel cappello (dall’espressione inglese Hand in cap, da cui deriva il termine “handicap”) presenta le storie di 14 ragazzi disabili, raccontate con passione e delicatezza dalla loro insegnante di sostegno. Il libro è pubblicato dalla Casa Editrice Monti.
Gabriella Meroni e Antonella Vandelli “La mano nel cappello - storie di ex ultimi della classe”
Editrice Monti, Saronno (VA), 2002, pagg. 150


L’opera:

“La città è invasa dalle lettere”, esclamò Fabio il giorno in cui si rese conto di aver imparato riconoscere l’alfabeto. Lui che era già stato classificato un “fallimento”.
La mano nel cappello (dall’espressione inglese Hand in cap, da cui deriva il termine “handicap”) presenta le storie di 14 ragazzi disabili, raccontate con passione e delicatezza dalla loro insegnante di sostegno. Il racconto non solo di successi educativi, ma di una sfida: trovare anche nel bambino più chiuso e “difficile” le risorse per raggiungere un equilibrio emotivo e intellettuale, e soprattutto recuperare l’autostima e l’accettazione dei propri limiti. Un ritratto attuale e coinvolgente dell’insegnante di sostegno, figura chiave di una reale integrazione scolastica.
Arricchiscono il testo la prefazione di Franco Bomprezzi e un’appendice di servizio curata da Nicola Quirico, presidente della FADIS (Federazione Associazioni Docenti per l’Integrazione Scolastica), ricca di riferimenti legislativi, bibliografici e associativi.

Le autrici:

Antonella Vandelli, dagli anni ’80 è insegnante di sostegno in un istituto della provincia di bolognese.
Gabriella Meroni, giornalista, è redattirce del settimanale Vita e collabora con Radio 24 – Il Sole 24 Ore.

I destinatari:

il mondo della scuola, dell’handicap, dell’associazionismo, saranno, insieme alle famiglie, i destinatari privilegiati di questo testo, che per la sua natura coinvolgente ed esperienziale, si rivolge non solo agli “addetti ai lavori”, ma a quanti hanno a cuore il tema.

Recensioni

Il Resto del Carlino - 8 febbraio 2003

Gli ultimi della classe insegnano a cura di Gabriele Mignardi

I nomi sono fittizi ma le storie sono vere e raccontano di quei bambini che il posto di ultimi della classe se lo trovano già sgombro ancor prima di iniziare la scuola. L'insegnante di sostegno che le ha scritte, Antonella
Vandelli, non usa la definizione "casi" anche se il genere letterario nel quale classificare il libretto che le ha raccolte sarebbe proprio quello dei "casi clinici", con brevi racconti introdotti dalla descrizione della diagnosi iniziale, cui fa seguito la narrazione delle strategie di quella cura speciale che si chiama integrazione. Sono le storie umane dei successi scolastici di quattordici alunni delle scuole elementari incontrate da questa entusiasta quarantacinquenne maestra superspecializzata nell'insegnamento a bambini in situazione di handicap. Poco conta che siano alunni dell'istituto comprensivo "De Amicis" di Anzola dell'Emilia (dove Antonella Vandelli insegna) ad intrecciare grandi e piccoli svantaggi con altri disabili conosciuti dalla maestra nel suo paese di origine, Sassuolo, o con le più recenti scelte di vita che l'hanno portata a vivere a Zola Predosa.
Queste storie di vita hanno un significato universale e forse non è un caso che proprio attraverso il mezzo ormai universale per eccellenza, Internet, l'autrice abbia divulgato i primi racconti che sono stati letti da Gabriella Meroni, giornalista e redattrice di un noto settimanale, prima di diventare il libretto pubblicato dall'editore varesino Monti. Il titolo del libro: "La mano nel cappello" riprende proprio un passo dell'intervento nel quale la
giornalista spiega che il termine "handicap" risale al Seicento inglese quando due uomini che intendevano effettuare una forma di baratto fra beni di valore non equivalente mettevano la compensazione monetaria proposta nascosta nel pugno chiuso all'interno del cappello, (da qui l'origine della parola: "hand-in-cap": mano nel cappello). Un secolo più tardi il termine "handicap" diviene di uso frequente nel mondo delle corse ippiche: ai cavalli migliori veniva appesa una zavorra per metterli in condizione di parità con i meno dotati.
«In tutti questi anni abbiamo lavorato per fare comprendere a tutti che questi bambini in una classe non sono una "zavorra" ma una risorsa - dice Antonella Vandelli -. Gli studi più recenti dimostrano che tutti gli alunni della classe traggono grande vantaggio formativo dalla presenza dei compagni svantaggiati. Per questo insistiamo sul concetto di integrazione che è una cosa ben diversa dall'"inserimento", un termine che non mi piace e non sarebbe male che, in quest'anno dedicato ai portatori di handicap, superare per sempre mentre purtroppo vedo il rischio di ritornare indietro alle "classi speciali"».